TRILOGIA DELLA LUCE
I STANZA, IL NOME
Canto Scuro
Quasi - solo da un ricordo infantile d’Elettra. Dall’igloo di Merz. Dalla casa impossibile, dal “che fare?”. Introiezione della luce. Nemesi come fuoriuscita, ma a porte chiuse.
Di e con: Giovanna Amarù
Con la partecipazione di 3 figuranti nel ruolo di: Agamennone, Elettra bambina, Clitennestra
Produzione : Compagnia Nuda Veritas, Studio L.I.R.A.
Durata: 50’
Alla luce distinguo le cose. Separate, scolpite, nude. Date alla forma ed ai sensi, scisse da me ed in sé stesse. Portano un nome, perché sono state nominate. Il nome è questa luce, questa luce che vedo e fu vista. Eppure un luogo non chiamato perennemente chiama. Esiste un interno che la luce oscura, un sole che impedisce agli occhi lo sfondamento del cielo. Questo luogo di ritrazione dell’essere dove non giunge pensiero né suono, questo canto scuro dove riposano tutti i giorni a venire. Dove guardare è nascondere, nominare è tradire,toccare è dissolvere. Dove il buio dei polsi vive cantando attraverso,come straniero, remoto ed inaudito.
La luce e il lutto.
Ho voluto riportare le cose al loro valore nominale. Leggere il solo piano metaforico, quello che ricadendo fuori dall’oggetto da accesso all’intimo di questo. Elettra è lo splendore, l’ambra gialla. E’ la proprietà di alcuni corpi che sfregati attirano o respingono altri corpi,è quel fluido rapido che si manifesta con scintille, che imprime al sistema nervoso una violenta vibrazione. La trasparenza di Elettra rivela l’opacità di Clitennestra, ne denuncia l’inerzia e l’impostura. Elettra è colei che si lascia attraversare, che riconosce e si autogenera, fuori di stirpe. Colei che al potere sostituisce la possibilità, come puro movimento. Elevando il lutto a luce, annulla un recinto e si fa essa stessa ultimo limite, ultima fuga in sé stessa, ultima espiazione e testimonianza. Elettra piange l’assenza del padre e del fratello, ma non attende e non accoglie, erigendosi a figura negativa della femminilità o come oltre/femminile. L’igloo, la casa impossibile di Merz, è la bolla chiusa dell’infanzia, indistruttibile come il giardino remoto di un gioco. Il suo abbandono è reso necessario da un ulteriore abbandono,in una sinonimia fra crescita e scioglimento dai legami. Elettra è energia viva, dunque separata;ed il tavolo, quel frammento di suolo sollevato da terra come altare alla convivialità, si fa tomba. Ho voluto intendere questo Canto Scuro come corto circuito dell’esistenza, come energia svincolata,non servile in nulla, non timorosa. Un brillare gratuitamente in un cielo vuoto, siderale quanto la lontananza dall’essere sé.
II STANZA, IL VOLTO
Being Back
Operetta triste sul ritrovamento amoroso.
Regia, coreografia e montaggio musicale: Giovanna Amarù
Con: Antonio Stella, Giovanna Amarù
Luci: Marco Sciveres
Voce radiofonica: Samuel Beckett “Bing”
Produzione : Compagnia Nuda Veritas, Studio L.I.R.A. con il sostegno di Schauspielhaus Bochum e Pottporus, Bremen Theater
Durata: 55’
“Tout su tout blanc corps nu blanc” Samuel Beckett, BING
“(…)dunque non è una strana cosa
l’irrispettosa distanza da quel luogo a qui
dove mi ardo in un solincendio
scorgendo in processione i portatori di reliquie
che mai sanno come si espande a dismisura
l’arroganza di camuffare la morte
ma accecata non conosco la belva che tracanna la mia vita
volendo io sorseggiare(...)”
Jolanda Insana, La clausura
Inferno. Una bianca stanza con pavimento di spine, per l’attesa di Euridice. Come una bambola dai finti occhi dipinti una figura femminile muove ed espande il suo sentire trafelato, in un “doppiaggio” danzato della voce puramente “emozionale” di Cathy Berberian in “Visage”, (Luciano Berio1961). Con il ritorno di spalle d’Orfeo la voce si fa maschile, fredda, lucida e descrittiva. La scrittura coreografica, imperniata sulla privazione della vista del viso dell’altro si imbatte in quell’ estraneità del reale, dal nodo non dicibile, che in “Bing” di Samuel Beckett risuona nella frastagliata ripetizione di “senso”, “uscita”, “metro”,”secondo”, “quasi mai”, “sempre la stessa”.L’illusione di un piano misurabile e fisso fa da sfondo all’Eterno cantore e nuovo Chisciotte. Eroe di partita e dipartita, Orfeo ha nel respiro il primo soffio, la corsa felice di un cavallo azzurro o sognato. Ciascuna mossa dell’incontro e del rapimento è una misura di spazio, di regina o re, di torre o alfiere se la scacchiera è il punto.Come a pedoni senza il senso e l’uscita, cui nessun viso è qui concesso vedere, il mistero si svela nel sembiante, la storia nel sacrificio romantico e buffo di un amore che fu.
III STANZA, IL TEMPO
Peau d’Âme
Studio e stratigrafia del corpo- tempo, ovvero veglia asinina per una trasfigurazione.
Di e con: Giovanna Amarù
Riferimenti bibliografici: Perrault “ Peau d’âne”, Apuleio “Le metamorfosi”
Produzione: Nuda Veritas, Studio L.I.R.A., con il sostegno di Teatro degli Specchi
La creazione “Peau d’âme” è la terza parte del progetto intitolato “Trilogia della luce”, di cui gli spettacoli “Canto Scuro” e “ Being Back”, compongono le prime due tappe, rispettivamente rivolte all’incidenza significante costituita dal nome e dal volto. Qui si indaga sul tempo, come dimensione per stadi progressivi del divenire percorre con una diversa influenza il corpo, metamorfosando la figura, ovvero trasfigurandola. La trasfigurazione come puntuale opera d’affinamento e venuta alla luce del mondo, sulla scorta del simbolismo dell’asino, che è condizione “nascosta” e peregrinazione terrestre in “Peau d’âne” di Perrault e nelle “Metamorfosi” di Apuleio, o legame a Saturno, presso i Greci, che lo collegavano all'isolamento, alla fine “temporale”delle cose. La pelle dell’anima, con tali orecchie animali, affiora in una cronologia cercata musicalmente, con lo stesso procedere di una clessidra, dove nella strozzatura e caduta del presente si precipita e capovolge l’accaduto e l’avvenire, in un’unica bolla.
I STANZA, IL NOME
Canto Scuro
Quasi - solo da un ricordo infantile d’Elettra. Dall’igloo di Merz. Dalla casa impossibile, dal “che fare?”. Introiezione della luce. Nemesi come fuoriuscita, ma a porte chiuse.
Di e con: Giovanna Amarù
Con la partecipazione di 3 figuranti nel ruolo di: Agamennone, Elettra bambina, Clitennestra
Produzione : Compagnia Nuda Veritas, Studio L.I.R.A.
Durata: 50’
Alla luce distinguo le cose. Separate, scolpite, nude. Date alla forma ed ai sensi, scisse da me ed in sé stesse. Portano un nome, perché sono state nominate. Il nome è questa luce, questa luce che vedo e fu vista. Eppure un luogo non chiamato perennemente chiama. Esiste un interno che la luce oscura, un sole che impedisce agli occhi lo sfondamento del cielo. Questo luogo di ritrazione dell’essere dove non giunge pensiero né suono, questo canto scuro dove riposano tutti i giorni a venire. Dove guardare è nascondere, nominare è tradire,toccare è dissolvere. Dove il buio dei polsi vive cantando attraverso,come straniero, remoto ed inaudito.
La luce e il lutto.
Ho voluto riportare le cose al loro valore nominale. Leggere il solo piano metaforico, quello che ricadendo fuori dall’oggetto da accesso all’intimo di questo. Elettra è lo splendore, l’ambra gialla. E’ la proprietà di alcuni corpi che sfregati attirano o respingono altri corpi,è quel fluido rapido che si manifesta con scintille, che imprime al sistema nervoso una violenta vibrazione. La trasparenza di Elettra rivela l’opacità di Clitennestra, ne denuncia l’inerzia e l’impostura. Elettra è colei che si lascia attraversare, che riconosce e si autogenera, fuori di stirpe. Colei che al potere sostituisce la possibilità, come puro movimento. Elevando il lutto a luce, annulla un recinto e si fa essa stessa ultimo limite, ultima fuga in sé stessa, ultima espiazione e testimonianza. Elettra piange l’assenza del padre e del fratello, ma non attende e non accoglie, erigendosi a figura negativa della femminilità o come oltre/femminile. L’igloo, la casa impossibile di Merz, è la bolla chiusa dell’infanzia, indistruttibile come il giardino remoto di un gioco. Il suo abbandono è reso necessario da un ulteriore abbandono,in una sinonimia fra crescita e scioglimento dai legami. Elettra è energia viva, dunque separata;ed il tavolo, quel frammento di suolo sollevato da terra come altare alla convivialità, si fa tomba. Ho voluto intendere questo Canto Scuro come corto circuito dell’esistenza, come energia svincolata,non servile in nulla, non timorosa. Un brillare gratuitamente in un cielo vuoto, siderale quanto la lontananza dall’essere sé.
II STANZA, IL VOLTO
Being Back
Operetta triste sul ritrovamento amoroso.
Regia, coreografia e montaggio musicale: Giovanna Amarù
Con: Antonio Stella, Giovanna Amarù
Luci: Marco Sciveres
Voce radiofonica: Samuel Beckett “Bing”
Produzione : Compagnia Nuda Veritas, Studio L.I.R.A. con il sostegno di Schauspielhaus Bochum e Pottporus, Bremen Theater
Durata: 55’
“Tout su tout blanc corps nu blanc” Samuel Beckett, BING
“(…)dunque non è una strana cosa
l’irrispettosa distanza da quel luogo a qui
dove mi ardo in un solincendio
scorgendo in processione i portatori di reliquie
che mai sanno come si espande a dismisura
l’arroganza di camuffare la morte
ma accecata non conosco la belva che tracanna la mia vita
volendo io sorseggiare(...)”
Jolanda Insana, La clausura
Inferno. Una bianca stanza con pavimento di spine, per l’attesa di Euridice. Come una bambola dai finti occhi dipinti una figura femminile muove ed espande il suo sentire trafelato, in un “doppiaggio” danzato della voce puramente “emozionale” di Cathy Berberian in “Visage”, (Luciano Berio1961). Con il ritorno di spalle d’Orfeo la voce si fa maschile, fredda, lucida e descrittiva. La scrittura coreografica, imperniata sulla privazione della vista del viso dell’altro si imbatte in quell’ estraneità del reale, dal nodo non dicibile, che in “Bing” di Samuel Beckett risuona nella frastagliata ripetizione di “senso”, “uscita”, “metro”,”secondo”, “quasi mai”, “sempre la stessa”.L’illusione di un piano misurabile e fisso fa da sfondo all’Eterno cantore e nuovo Chisciotte. Eroe di partita e dipartita, Orfeo ha nel respiro il primo soffio, la corsa felice di un cavallo azzurro o sognato. Ciascuna mossa dell’incontro e del rapimento è una misura di spazio, di regina o re, di torre o alfiere se la scacchiera è il punto.Come a pedoni senza il senso e l’uscita, cui nessun viso è qui concesso vedere, il mistero si svela nel sembiante, la storia nel sacrificio romantico e buffo di un amore che fu.
III STANZA, IL TEMPO
Peau d’Âme
Studio e stratigrafia del corpo- tempo, ovvero veglia asinina per una trasfigurazione.
Di e con: Giovanna Amarù
Riferimenti bibliografici: Perrault “ Peau d’âne”, Apuleio “Le metamorfosi”
Produzione: Nuda Veritas, Studio L.I.R.A., con il sostegno di Teatro degli Specchi
La creazione “Peau d’âme” è la terza parte del progetto intitolato “Trilogia della luce”, di cui gli spettacoli “Canto Scuro” e “ Being Back”, compongono le prime due tappe, rispettivamente rivolte all’incidenza significante costituita dal nome e dal volto. Qui si indaga sul tempo, come dimensione per stadi progressivi del divenire percorre con una diversa influenza il corpo, metamorfosando la figura, ovvero trasfigurandola. La trasfigurazione come puntuale opera d’affinamento e venuta alla luce del mondo, sulla scorta del simbolismo dell’asino, che è condizione “nascosta” e peregrinazione terrestre in “Peau d’âne” di Perrault e nelle “Metamorfosi” di Apuleio, o legame a Saturno, presso i Greci, che lo collegavano all'isolamento, alla fine “temporale”delle cose. La pelle dell’anima, con tali orecchie animali, affiora in una cronologia cercata musicalmente, con lo stesso procedere di una clessidra, dove nella strozzatura e caduta del presente si precipita e capovolge l’accaduto e l’avvenire, in un’unica bolla.